Presunzione di subordinazione per partita iva e contratti a progetto: quando scatta, quali sono i rischi e le possibili sanzioni

Il codice civile italiano divide chiaramente le due principali fattispecie di lavoro, ovvero quella del lavoro dipendente o subordinato e del lavoro autonomo.

L’articolo 2222 del codice civile nel descrivere il contratto d’opera tipico del lavoro autonomo recita infatti:

“Quando una persona si obbliga a compiere verso un corrispettivo un’opera o un servizio, con lavoro prevalentemente proprio e senza vincolo di subordinazione nei confronti del committente, si applicano le norme di questo capo”.

Il passaggio fondante di questo capo sta sicuramente nelle parole “senza vincolo di subordinazione”, che costituisce la differenza sostanziale tra il lavoro autonomo e quello subordinato.

Il lavoro subordinato è invece normato dall’art. 2094 del codice civile che recita:

“È prestatore di lavoro subordinato chi si obbliga mediante retribuzione a collaborare nell’impresa, prestando il proprio lavoro intellettuale o manuale alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore”.

La differenza sostanziale col lavoro autonomo si esplica proprio nella modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, che in questo caso avviene alle dipendenze e sotto la direzione dell’imprenditore.

A complicare questa situazione abbastanza semplice e differenziata sono però con gli anni intervenute varie riforme che hanno portato all’introduzione del lavoro a progetto e dei famosi co.co.co. (collaborazioni coordinate e continuative).

Queste tipologie contrattuali sono in realtà un ibrido tra il classico lavoro dipendente e quello autonomo e hanno consentito un vasto utilizzo da parte delle aziende per diversi anni.

Con la riforma del Jobs Act durante il governo Renzi prima e con l’ultima riforma del lavoro conosciuta come “Decreto Dignità” nel 2018 poi, si è posto un definitivo divieto a queste forme di collaborazione, limitandole ad un numero molto ridotto di casi.

Che cos’è la presunzione di subordinazione da lavoro dipendente?

La presunzione di subordinazione è un concetto nato a seguito della Riforma Fornero del 2012 per smascherare le cosiddette “false partite iva”.

Si tratta del tentativo di rintracciare tutti quei contratti a progetto, che nella prassi non rispettavano le condizioni dettate da tali contratti, ma fossero semplicemente un modo per abbattere i costi del lavoro, inquadrando i lavoratori come parasubordinati, nonostante le caratteristiche della loro prestazione lavorativa rispecchiassero i canoni della classica subordinazione.

Nello specifico, al comma 26 dell’art.1 della legge 92/2012, il legislatore specifica che i rapporti di lavoro che si esplichino in almeno due delle seguenti condizioni siano tacciabili di subordinazione:

  • Durata: qualora il rapporto superi una durata complessiva di 8 mesi in due anni solari;
  • Luogo: se il collaboratore possiede una postazione fissa di lavoro nella sede del committente;
  • Fatturato: se gli importi derivanti dalla collaborazione costituiscano l’80% del totale dei compensi del lavoratore in due anni consecutivi.

Questa impostazione è in parte decaduta a seguito delle numerose riforme del lavoro che sono state poi introdotte negli anni successivi.

La presunzione di subordinazione continua però ad essere applicata dagli organi di vigilanza sui rapporti di lavoro.

Cerchiamo di capire quali sono i tratti maggiormente indicativi della presunzione di subordinazione ai giorni nostri.

I caratteri distintivi della presunzione di subordinazione

Quindi quali sono gli elementi distintivi che fanno nascere il dubbio della presunzione di subordinazione?

Vediamo insieme le principali caratteristiche di questo fenomeno.

La monocommittenza

La monocommittenza è certamente uno dei principi cardine che lascia sorgere il dubbio dell’esistenza di una presunzione di subordinazione.

In parole povere significa che il collaboratore non potrà avere un unico cliente come committente delle sue prestazioni.

Seppur hanno perso importanza elementi oggettivi come il limite di fatturato, certamente la presenza di un unico committente per il lavoratore, farà sorgere il dubbio agli organi di vigilanza, che il rapporto di lavoro miri ad occultare un normale rapporto di lavoro subordinato.

Il potere direttivo e di controllo del datore di lavoro

Altro elemento di fondamentale importanza nella valutazione di un rapporto di lavoro è l’esistenza di un vincolo di subordinazione tra datore di lavoro e lavoratore.

La subordinazione si esplica principalmente nell’esistenza di un potere di controllo e direttivo del datore di lavoro nei confronti del lavoratore.

Questi due principi non possono infatti esistere nel riguardo del rapporto di lavoro tra un collaboratore a partita IVA e il suo committente.

Nello specifico il potere di controllo svolto dal datore di lavoro si potrà esplicare esclusivamente sulla qualità e conformità del risultato della prestazione di lavoro del collaboratore e non sulle modalità di esecuzione della stessa.

Ciò significa che il collaboratore deve essere libero da orari di lavoro imposti o da luoghi fisici obbligatori dove svolgere la prestazione.

Il lavoratore non avrà poi ad esempio l’obbligo di farsi approvare le ferie dal datore di lavoro e non dovrà mai giustificare (ad esempio con un certificato medico) l’assenza da lavoro.

Altra caratteristica rimane l’esclusione dal controllo direttivo del committente. Il lavoratore sarà dunque sempre libero di eseguire come meglio crede la prestazione di lavoro e il datore di lavoro non potrà intervenire in merito alle modalità scelte dal lavoratore.

La presenza di una o entrambe queste evenienze causerebbe dunque la lecita presunzione dell’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato occultato sotto forma di contratto di collaborazione.

Esclusione dell’applicazione della presunzione di subordinazione

Esistono delle esclusioni dalla normativa relativa alla presunzione di subordinazione. Nello specifico sono completamente escluse da quanto appena detto le prestazioni lavorative:

  • regolate da un CCNL o siglate da sindacati per venire incontro ad una particolare categoria di professionisti;
  • relative a professioni che prevedano l’iscrizione ad un albo;
  • svolte da componenti degli organi di amministrazione e controllo delle società e dei partecipanti ai collegi ed alle commissioni;
  • rese a titolo istituzionale per conto di società sportive e dilettantistiche riconosciute dal Coni;
  • certificate ai sensi dell’art 76 del Decreto Legislativo 276/2003.