Isola di plastica: cos’è e cosa possiamo fare

L’isola di plastica, nota in tutto il mondo come Great Pacific Garbage Patch o come Pacific Trash Vortex, è una chiazza di immondizia galleggiante che si trova tra il 135° e il 155° Meridiano a Ovest e a Nord tra il 35° e il 42° parallelo, come potete leggere in modo più approfondito su Wikipedia.

Le reali dimensioni di questo impressionante accumulo di rifiuti non sono facilmente calcolabili, tuttavia si stima un’estensione di 1,6 milioni di km2, vale a dire due volte la superficie dello Stato del Texas, o 3 volte la superficie della Francia.

Questa chiazza di spazzatura è composta al 98% da rifiuti in plastica, nel dettaglio abbiamo il 53% di megaplastiche, il 26% di macroplastiche, il 13% di mesoplastiche e l’8% di microplastiche.

Facciamo luce sulle isole di plastica

Abbiamo dato una panoramica veloce e generica della densità della plastica che costituisce l’isola di plastica, ma da cosa viene costituita e alimentata?

Origini e cause delle isole di plastica

L’origine di questa isola di plastica risale agli anni ‘80, circa 50 anni dopo la nascita dell’industria moderna della plastica e 30 anni dopo la scoperta scientifica del polipropilene da parte dell’ingegnere chimico italiano Giorgio Natta, che decretò il vero e proprio Boom nella diffusione dell’utilizzo della plastica a partire dagli anni ‘60.

Ogni anno vengono prodotte 350 milioni di tonnellate di plastica e circa 8 milioni di tonnellate ogni anno finiscono negli oceani, a causa della dispersione nell’ambiente o di una cattiva gestione delle discariche in cui vengono accumulati tali rifiuti.

Questi vengono poi trasportati dalle correnti, che le concentrano e compattano in aree molto estese, chiamate appunto isole, la cui densità per km2 è variabile.

Isole di plastica: quante sono e dove si trovano

La grande chiazza di immondizia del Pacifico è costituita al 46% da reti di pesca, lenze e corde, strumenti utilizzati per la pesca intensiva, poi ritroviamo bottiglie e flaconi di plastica e anche pellicole in PVC.

Molti non sanno però che the Great Pacific Garbage Patch, che fluttua nell’area tra la California e le Hawaii, non è l’unica isola di plastica esistente, infatti ne vengono scoperte un numero sempre crescente, tra queste:

  • The South Pacific Garbage Patch, fluttua al largo di Cile e Perù, composta prevalentemente da microplastiche, ha una superficie circa 8 volte maggiore dell’Italia
  • The North Atlantic Garbage Patch, la seconda più grande per estensione, è famosa per la densità dei rifiuti, circa 200mila detriti per km2
  • The Indian Ocean Garbage Patch, scoperta nel 2010
  • The Arctic Garbage Patch, l’ultima ad essere scoperta, al largo del mare di Berents, ancora in fase di studio

Senza andare troppo lontano è necessario parlare anche dell’isola di plastica che è stata scoperta di recente nel nostro mare, il Mar Mediterraneo, precisamente nell’area tra l’Isola d’Elba e la Corsica.

Il Mar Mediterraneo è il mare più inquinato al mondo e al suo interno abbiamo circa il 5-10% del totale di microplastiche esistenti.

Questo problema è strettamente legato alla nostra salute, perché in circa il 20% dei pesci pescati e analizzati sono state trovate microplastiche nei tessuti.

Isola di plastica e rischi sulla salute

La plastica dispersa negli oceani impiega secoli per essere smaltita totalmente, tuttavia il lento processo di deterioramento fa in modo che minuscoli frammenti di plastica, definiti microplastiche e nanoplastiche in base alle loro dimensioni, diventino parte dell’ecosistema marino.

Le microplastiche e nanoplastiche alterano e devastano l’equilibrio ambientale, diventando nutrimento e causa di morte per pesci e uccelli: tristemente celebre è la notizia riportata da Ansa, del capodoglio morto in Sardegna, con un feto e 22kg di plastica nel ventre.

Gli studiosi stimano che entro il 2050 il peso della plastica in mare eguaglierà il peso dei pesci, un dato sconvolgente che preannuncia gravi conseguenze per la salute di tutta l’umanità.

Infatti le micro e nanoplastiche non sono nutrimento solo per gli animali, ma anche per gli esseri umani, esposti alle particelle e agli additivi chimici rilasciati dalla plastica attraverso due vie: la dieta e l’inalazione aerea.

Alcuni studi hanno calcolato che ogni essere umano ingerisce circa 5g di plastica a settimana, vale a dire l’equivalente di una carta di credito.

I dati sui reali danni provocati dall’ingerimento sono ancora in corso, di sicuro si sono già calcolate alterazioni delle funzionalità epatiche, dell’apparato cerebrale e riproduttivo, anomalie nello sviluppo sessuale e difetti nello sviluppo dei feti.

Cosa possiamo fare noi?

Considerando la gravità della situazione attuale e l’attuale incremento della domanda della produzione di plastica, è facile sentirsi sopraffatti ma in realtà il potere che abbiamo, come consumatori, è enorme.

Quindi cosa possiamo fare attivamente?

  • Ridurre drasticamente il consumo di plastica monouso, preferendo i prodotti sfusi o con imballaggi compostabili e sostenibili
  • Preferire le alternative ecosostenibili e i prodotti ecologici
  • Riparare gli oggetti anziché acquistarne di nuovi, ove possibile
  • Differenziare i rifiuti e conferirli correttamente
  • Apportare delle modifiche alle nostre abitazioni o scegliere delle abitazioni eco-sostenibili (per esempio in questo articolo abbiamo parlato della casa passiva)

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