I lati oscuri dello smartworking

Teleconferenze, software di assistenza remota, lavorare al tavolo della cucina: in due parole, smartworking. Una realtà di lavoro che è diventata la norma per il 12% degli impiegati nella PA, per circa il 15% dei dipendenti delle PMI e per il 58% dei lavoratori delle grandi e grandissime aziende.

Eppure, uno strumento così versatile e prezioso in tempi di pandemia rivela con il passare dei mesi sempre più lati oscuri e poco indagati. Vediamo quali sono.

Carenze infrastrutturali

Chi si ricorda dei problemi di accesso alle reti Internet domestiche a marzo e aprile, perché i server non erano pronti per un tale afflusso di connessioni, tra cittadini chiusi a casa, lavoratori in telelavoro e studenti in Didattica a Distanza? Le infrastrutture non erano pronte ad un tale sconvolgimento, e per quanto si sia cercato di mettere qualche toppa, il problema permane.

Speriamo solamente che il Bonus computer 2021 aiuterà alcune famiglie a basso reddito ad ottenere più facilmente una connessione veloce, per lo meno per i ragazzi che dovranno continuare con la scuola da casa.

La crisi dei settori

Se il lavoro d’ufficio può essere svolto in parte da casa, alcuni mestieri che orbitano intorno agli uffici invece sono in pesantissima crisi. Qualche esempio?

  • Imprese di pulizie, che perdono gli appalti per la cura degli uffici
  • Bar e ristoranti vicini ai luoghi di lavoro, che ricevono non solo la mazzata delle chiusure a singhiozzo, ma anche la perdita di clienti all’ora di pranzo
  • Mense aziendali, evidentemente chiuse
  • Manutentori: se gli uffici sono chiusi, riparazioni a caldaie, impianti e migliorie sono chiaramente rimandate
  • Babysitting: non sono molte le famiglie che oggi possono permettersi o vogliono accettare uno sconosciuto, forse fonte di contagio, in casa per badare ai bambini. Inoltre, se i genitori sono in smartworking, perché spendere per la cura dei bambini?

La crisi sociale: mamme e scuola

Come tutti sanno, la maggior parte del lavoro di cura in Italia è svolto dalle donne, a causa del sessismo introiettato dalla nostra comunità. Se prima le donne lavoratrici potevano perlomeno fare affidamento su baby sitter, asili e scuole, con queste infrastrutture bloccate esse si ritrovano a casa, sole, a gestire contemporaneamente la casa, i figli e il proprio lavoro. Certo qualche pezza è stata messa, con uno dei primi decreti emanati dal Governo ad inizio pandemia, ma chiaramente la situazione non è risolta. Sulle spalle delle donne, già più facilmente esposte ad abusi sul posto di lavoro (licenziamenti, perdita del lavoro, demansionamento, eccetera) gravano ora nuove difficoltà e responsabilità, non del tutto comprese e tantomeno risolte.

Lo smartworking si è insomma rivelato uno strumento prezioso per la gestione e il controllo della pandemia, ma tutt’altro che santo o privo di rischi. Come tutte le modifiche strutturali importanti richiede nuovi apparati e tutele, che però rischiano di arrivare sempre inesorabilmente in ritardo per via della macchinosa burocrazia del paese.