Smartworking in Italia: un bilancio dopo quasi un anno

Lo smartworking è diventato la realtà quotidiana di quasi il 58% delle aziende. Pian piano, una maggioranza dei lavoratori ha iniziato ad utilizzare lo strumento del lavoro agile per ridurre l’affollamento di mezzi pubblici ed uffici e contribuire ad attutire le progressive ondate di contagi da Covid-19.

A distanza di circa 10 mesi dall’introduzione della misura, potenziata via via da decreti e richieste dall’altro, è tempo di fare qualche bilancio. Vediamo insieme alcuni dei più interessanti numeri sullo smartworking in Italia!

Prima e dopo il lockdown di marzo

Il primo lockdown, la scorsa primavera, è stato ovviamente un momento di passaggio fondamentale per la storia del paese lavoratore. La vera domanda che vogliamo porci, però, è: il lockdown ha introdotto nuovi modelli, o ha solo accelerato la progressione di quelli che già esistevano?

Mettiamo a confronto la situazione pre-pandemia e quella post, in rapporto al lavoro agile.

La stima del Ministero del Lavoro prima della pandemia parla di circa 221 mila persone in lavoro agile. Il dato non sembra però completo: l’Osservatorio Smartworking del Politecnico di Milano parla di circa 500 mila unità nel corso del 2019, con varie modalità.

Tra il 2018 e il 2019 si stima che i lavoratori in smartworking siano passati dal 32% al 48%.

Nel 2018 circa il 56% delle aziende aveva all’attivo progetto per il lavoro da casa: un solo anno dopo la percentuale è salita di 2 punti.

Intervistato un campione di grandi aziende, nel 2019 circa il 20% di loro ha dichiarato di voler attivare almeno una modalità di lavoro flessibile per i propri dipendenti: inevitabilmente la pandemia ha accelerato questo processo, e oggi quasi il 60% dei lavoratori privati è impiegato proprio con questa modalità. Solamente l’8% delle azienda ha dichiarato di non aver avviato nessuna ricerca o progetto in questa direzione.

Strumenti e criticità

Certo è che lo smartworking richiede una rete di infrastrutture e di picchetti che lo rendano possibile.

Il primo, fondamentale, è ovviamente una rete Internet a banda larga estremamente capillare che copra davvero tutto il territorio nazionale. Con il sovraccarico delle linee a marzo ed aprile, molti provider si sono attivati per migliorare la propria copertura e per permettere l’accesso a reti più veloci. Inoltre, con il bonus di incremento per le tecnologie previsto per il 2021, a molte famiglie indigenti verrà permesso un accesso agevolato a queste infrastrutture, specie per chi ha figli in età scolare costretti alla DAD.

C’è poi da considerare il vitale apporto dei software di assistenza remota, indispensabili per moltissime realtà. Anche in questo senso, molte società si sono mosse sviluppando piani più completi e convenienti per le aziende che hanno voluto o dovuto implementare lo strumento dello smartworking. Alle società ad oggi sta la formazione, indispensabile per i dipendenti, per renderli più agili e competenti.

C’è poi il problema etico. Lo smartworking impone alle famiglie nuovi adeguamenti di tempi, spazi e modalità di cura della casa, dei figli, dei partner. E come tutti sappiamo, queste mansioni in Italia spettano più spesso alle donne. Che tipo di infrastrutture servirebbero per agevolare questa delicata fascia della popolazione, conservando allo stesso tempo uno strumento versatile e prezioso come quello dello smartworking in pandemia?